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  • Axel Novelli

Reboot: old but gold o mancanza di idee?

Aggiornamento: 9 mag 2021

Remake, reboot, remastered.


Negli ultimi anni, la moda del revival ha toccato ogni settore dell’industria dell’intrattenimento, tra cui, ovviamente, quella videoludica.


La pratica del porting è uso comune fin dai principi del settore, quando, nel 1975, si ebbe un primo esempio della materia con l’adattamento di Gun Fight, della Midway, versione riprogrammata di Western Gun della Taito, la cui differenza principale era l’uso del microprocessore che, nella versione migliorata, permetteva animazioni più fluide e un comparto grafico più potente.



Moltissimi publisher hanno eseguito porting di decine e decine digiochi, permettendo a un pubblico più ampio di giocare a titoli che, prima di allora erano esclusiva per una determinata piattaforma, spesso poco diffusa o troppo costosa per la maggiorparte del pubblico.


Negli anni ‘80/’90 si verificarono i primi veri e propri casi di remake, il cui tentativo era modernizzare alcuni precedenti titoli adattandoli agli standard di quelli nuovi, come King’s Quest e Space Quest, che utilizzano tecnologie ed interfacce dei giochi più recenti di Sierra con asset e materiale di stile differente. L’intento era proprio quello di rendere i titoli giocabili su nuove piattaforme e farli sembrare meno datati possibile.


Trattandosi di prodotti, le ragioni che spingono i publisher a svolgere questo tipo di operazioni sono ovviamente di natura commerciale, ed essenzialmente ruotano attorno 3 principali categorie:


I Remake


Quando un titolo vende particolarmente bene una volta, è buona pratica cercare di piazzarlo nuovamente sul mercato sotto vesti diverse, attraverso un bundle o nell’insieme di una strategia commerciale specifica (come la serie Platinum su PS2 e i Playstation Essentials).


Spesso si parla di titoli usciti diversi anni prima ma diventati leggendari a causa delle loro caratteristiche particolarmente uniche e innovative.


La speranza, quando si realizza un remake di un videogioco del genere, è quella di attirare nuovo pubblico, spinto dalla curiosità per il genere o dalla “leggenda” del titolo in questione, mentre contemporaneamente si punta all’effetto nostalgia di chi il titolo se lo porta ancora nel cuore.


Si tratta di un’operazione complessa che richiede una perfetta conoscenza delle esigenze del pubblico attuale, dei trend di mercato e delle aspettative dei fan di vecchia data: una volta lanciato, infatti, il gioco deve colpire il nuovo pubblico che, spesso, potrebbe interfacciarsi con quello vecchio per capire se valga la pena giocare alla nuova versione.


Il rischio è di creare qualcosa di poco memorabile e totalmente derivativo che, nonostante l’impegno di tutti i professionisti coinvolti, potrebbe semplicemente riempire uno scaffale senza reggere il confronto con l’originale.


Esistono però casi recenti che sono riusciti a rivoluzionare completamente lo scope dell’originale affermandosi come esperienze nuove ed egualmente interessanti: è il caso degli ultimi Resident Evil 2 e 3 che, oltre a rispolverare il genere incrollabile dei survival horror, offrono un’esperienza totalmente diversa da quella originale, pur mantenendo lo stesso fascino e concept.



Resident Evil 2 Remake è uno dei titoli più divertenti e interessanti del panorama action/horror, che permette ai novizi di affacciarsi a un genere che ha subito, negli anni, svariate trasformazioni e sperimentazioni poco riuscite e catapulta i fan di vecchia data in una dimensione riconoscibile ma sorprendente.


Un altro esempio interessante è Final Fantasy VII Remake, che rispolvera uno dei capitoli di maggiore successo della saga conservando estetica e stile dell’originale, ma potenziato a dismisura dalle nuove tecnologie.


A differenza di Resident Evil, però, l’avventura di Cloud Strife e compagnia bella soffre terribilmente di difficoltà di produzione e di un’architettura fin troppo rigida per un titolo del 2020.




I Reboot


Se le parole “onnichiave” e “gadgetron” vi colpiscono al cuore con la stessa forza dei vostri ricordi più belli d’infanzia, probabilmente siete tra le persone che, quando è stato annunciato il reboot del primo Ratchet & Clank vi siete commossi.


E pensare che avrei scoperto solamente qualche mese dopo l’esistenza del film.



Un reboot sancisce l’abbandono della continuity di una serie nel tentativo di ripensare da zero personaggi, eventi e tematiche narrative.


È una tecnica frequentemente usata in ambito editoriale, dove la continuity supereroistica si incasina facilmente e si rende necessario spedire Flash indietro nel tempo per resettare tutto, tranne il pc di Batman.


Lo scopo di un reboot è quello di avvicinare pubblico interessato alla proprietà intellettuale ma intimidito dalla quantità di materiale da recuperare per calarsi nell’immaginario o dall’impossibilità di recuperare gli episodi più datati.


Divide spesso la fanbase in più spaccati: chi avrebbe voluto che la saga continuasse, chi non tollera i cambiamenti, chi non vedeva l’ora che dessero un taglio a una storyline disastrosa e chi è arrabbiato con l’autore per chissà quale ragione.


È il caso di videogiochi come Tomb Raider, o Hitman, che ciclicamente vengono rispolverati e ripensati da zero tentando di mantenere le caratteristiche che più ne contraddistinguono l’immaginario, il protagonista o le meccaniche di gioco da un punto di vista tematico.




I Remastered


Probabilmente la tipologia meno interessante e stimolante del settore e sicuramente quella più trainata da ragioni commerciali e di product placement.


La sola scusante per giocare un remastered è l’essersi persi la versione originale per svariati motivi, ma si può anche chiudere un occhio se state affrontando un periodo particolarmente complesso e vi mancano vecchi e dolci ricordi.


Esempi di questo tipo sono The Last Of Us e Crysis: il primo, ottimizzato per PS4 per dare la possibilità a chi non era riuscito a giocarlo su Playstation 3 di apprezzare il blockbuster in modo leggermente migliorato e più fluido; il secondo, per mettere in mostra i muscoli del nuovo Cryengine.


Esistono però remastered davvero degni di nota, come il più recente Crash Bandicoot e il cugino Spyro, il cui gameplay è talmente genuino e divertente che l’unica cosa sensata da fare era ricostruire interamente il comparto grafico, con risultati sorprendenti. Rebuild di questo genere non solo avvicinano giocatori che non hanno mai avuto la chance di provare questi titoli, ma permettono ai fan di vecchia data di rivivere ricordi nostalgici-


Mi sto ripetendo. Però, dai, non è attorno al concetto di ripetersi che ruota tutto questo articolo?


Se da un lato sono contento che nuove persone possano riscoprire vecchi classici e di rigiocare personalmente titoli che magari, da ragazzino, non ho potuto apprezzare a dovere, dall’altro mi chiedo quanto effettivamente il mercato benefici della ripubblicazione.


Investire su proprietà intellettuale di successo è una strategia conveniente da tutti i punti di vista di un’azienda, ma credo che, nell’intrattenimento, ci sia bisogno anche di un po’ di coraggio.


Pensate a Star Wars: Il risveglio della forza e chiedetevi se, aldilà del fatto che l’abbiate apprezzato o meno, sia stato così memorabile.


Stiamo parlando di un film che è, contemporaneamente, un reboot, un remake e una remastered, a mio parere riuscito solamente da un punto di vista estetico. Non mi sorprende che il pre-order del pupazzo di baby Yoda abbia incassato, da solo, più dell’ultima trilogia messa insieme.



Il cinema, come il resto dell’industria dell’intrattenimento, soffre della mancanza di risorse a cui attingere per variare la proposta e i rumors sono preoccupanti: Red Dead Redemption 2 non vende a sufficienza nonostante l’immensità del prodotto che rappresenta e Rockstar Games decide di abbandonare il progetto multiplayer per dedicarsi a supportare la sua cash machine, GTA, trasformandosi in una GTA-Maker sulla falsa riga degli sviluppatori di Call Of Duty.


Allo stesso modo, l’editoria è in crisi da anni a causa della sempre meno disponibilità di carta stampata, con conseguente meno spazio per la varietà di prodotti da piazzare sul mercato. Il risultato è che le case editrici investono su prodotti a basso rischio, ristampando materiale Marvel ormai vecchio di 30 anni, a scapito delle nuove proposte.


La scelta industriale è comprensibile, ma le conseguenze a lungo termine possono solo portare a un’omogeneità di prodotti così diffusa che il pubblico potrebbe ritrovarsi assalito dalla voglia di qualcosa che però non esiste.


O non esiste più, e via di remake, remastered, reboot.


E poi, personalmente, i remake mi spaventano: se penso al rumor su un possibile rifacimento di Metal Gear dalle stesse menti geniali dietro a Survive, temo cosa potrebbe uscirne.

Il nuovo Cloud Strife sarà sicuramente più bello e fluido del pupazzo a blocchi che controllavamo nel primo Final Fantasy VII, ma il remake è talmente legnoso, e a tratti datato, che sto ancora decidendo se valga la pena arrivare in fondo.


Eppure, FFVII nasce al preciso scopo di rimodernare qualcosa di vecchio, creando comunque un ristagno di vecchie idee limate e riadattate.


Mancano i fondi per finanziare idee interessanti, nuove, coraggiose e si finisce per far sparare troppo e pensare troppo poco, creando giocatori che se si stancano dei no-scoop, hanno come “unica alternativa” puzzle games probabilmente troppo difficili e cervellotici per chi per anni ha difeso una carriera su FIFA o Black Ops.


Il mio affetto va alla quantità di IP soppresse, un po’ per sfortuna, un po’ per la pessima gestione del team alle loro spalle e, chissà, magari perché sono mancati i fondi.


Dead Space, annegato da scelte commerciali che hanno snaturato un prodotto di grande successo all’esordio o LA Noire, all’epoca fin troppo costoso ma lungimirante. Entrambi soppressi dall’esigenza del mercato che nel primo ha visto perdersi ciò che lo rendeva unico e nel secondo credeva di avere tra le mani un nuovo GTA.


Non vorrei che il mercato indie diventasse un vivaio di sviluppatori Ubisoft ed Electronic Arts, il cui obiettivo è creare esperienze adatte a tutti ma che, purtroppo, mancano della particolarità di studi più piccoli che possono permettersi di rischiare.


Penso che un remastered valga la pena di essere acquistato solo se non si ha avuto la chance di giocare all’originale, altrimenti bisognerebbe essere pronti a “dire di no” alla nostalgia.


E poi, personalmente, i remake mi spaventano: se penso al rumor su un possibile rifacimento di Metal Gear dalle stesse menti geniali dietro a Survive, temo cosa potrebbe uscire da un tentativo di adattare un gioco stealth all’impazienza dei giocatori più moderni.


Credo che il futuro dell'industria stia nelle alpha, pre alpha, pre release e nelle uscite indie più sperimentali. Se i nuovi AAA devono essere prodotti di riciclo o colossal che necessitano di mesi e mesi di crunch, forse è meglio ridimensionare le cose e supportare lo sviluppatore indipendente sotto casa che sviluppa videogiochi tra un prodotto industriale e un altro.


In fondo, ognuno gioca per un motivo diverso, ma tutti per lo stesso scopo: provare emozioni.


Se state cercando di rivivere qualcosa che vi ha già colpiti, forse dovreste essere più coraggiosi e curiosi.


Fatevi un favore, se eravate tra chi aspettava la patch definitiva nel 2012, lasciate Mass Effect: Legendary Edition sullo scaffale.

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