- Axel Novelli
Life is Strange e l’illusione della scelta - il vero potenziale dell’interactive storytelling
Aggiornamento: 9 mag 2021

Cosa significa prendere una decisione? Per gli esseri umani è spesso la cosa più difficile. Un ostacolo che incontriamo quotidianamente e che persino con totale preparazione, spesso non riusciamo a superare o proviamo ad eludere. Saper prendere la giusta decisione può decretare la nostra sopravvivenza, che si tratti di guardare dove mettiamo i piedi mentre passeggiamo in un bosco o di ordinare il piatto giusto in un ristorante etnico durante la nostra vacanza in Inghilterra.
Tutta la nostra vita si fonda sulle scelte che prendiamo e le conseguenze che queste azioni hanno su noi e le persone che ci circondano.
I giochi, in questo, rappresentano una simulazione perfetta: sono l’unico media in cui l’utente ha potere decisionale. Tutte le altre forme d’arte o intrattenimento non comprendono questa dinamica. Ogni gioco si basa su una scelta, che si tratti di quale pedina muovere, quale arma selezionare o in che direzione muovere Mario.
E no, Bandersnatch, per quanto eccezionale nel suo intento di provare che lo spettatore non ha nessun controllo sulla storia, non è stato il primo film interattivo e, forse, è più un videogioco che un film.

Nei videogiochi, la concezione di scelta più moderna fa riferimento alla possibilità di decidere quale destino debba incontrare uno dei personaggi della storia, il cui finale è una conseguenza più o meno diretta del percorso intrapreso durante la partita. Nelle avventure grafiche, come Detroit, è il giocatore ad avere potere assoluto sulla progressione della vicenda. Ciò che gli manca (fortunatamente), almeno nel corso della prima run, sono le informazioni utili a prevedere quali conseguenze potrebbero avere determinate scelte.
Nella maggior parte dei casi, i diversi percorsi intrapresi in giochi come The Walking Dead o Mass Effect conducono a 1, 2 finali alternativi, spesso tradendo le aspettative del giocatore che sperava di poter prendere decisioni più determinanti del salvare un personaggio piuttosto che un altro... per scoprire che in realtà sarebbe morto in ogni caso.

Quindi, se il giocatore non ha realmente potere decisionale, giochi di questo tipo raccontano una bugia?
No, e non è una strategia di mercato fallimentare.
Si tratta di illusion of choice, principio alla base di alcune delle esperienze videoludiche più moderne e acclamate.
Tuttavia, prendere una decisione in Life Is Strange può lasciare un segno importante su ciò che conta davvero: il giocatore.
La prima stagione di Life Is Strange raggiunge uno dei massimi apici del concetto di illusione di scelta.
Life Is Strange è un’avventura grafica a episodi rilasciata nel 2015 e sviluppata da Dontnod, che precedentemente ci aveva regalato quella perla di Remember Me. Il gioco, in cui personalmente sono inciampato leggendo un articolo che ne parlava come “la migliore serie tv che non puoi trovare in televisione”, racconta la storia di due amiche che si ritrovano dopo un sacco di anni passati lontane. Una delle due verrà coinvolta in un terribile incidente che, il giocatore, scoprirà di poter impedire grazie al potere di riavvolgere il tempo per poter cambiare il destino.

Ma non è sulla storia che voglio concentrarmi, quanto sulle tematiche che il gioco tratta: ci sono argomenti complessi come il cyberbullismo, l’eutanasia e il dolore nella sua accezione più articolata. Tutti magistralmente gestiti grazie a una minuziosa documentazione e maniacale attenzione alla messa in scena dei directors Michel Koch e Raoul Barbet.
Ogni scelta che il giocatore deve compiere nel gioco riguarda la complessità della vita di tutti i giorni.
Ogni scelta che il giocatore deve compiere nel gioco riguarda la complessità della vita di tutti i giorni, affrontata da due ragazzine che imparano a crescere in un mondo dove trovare il proprio posto diventa sempre più difficile. Grazie al tono familiare, leggero e a un ritmo imprevedibile, la storia riesce ad accompagnare il giocatore più coinvolto lungo una serie di montagne russe emotive che indagano, più di altri giochi, moralità e società nei loro più ordinari ma complessi dettagli.

Un po’ come Manchester by the sea, con i suoi dialoghi tremendamente veri e la sua messa in scena così… ordinaria.
In Life Is Strange, le scelte del giocatore contano. Sì, lo so, sembra il solito slogan destinato a deludere, soprattutto se consideriamo che, indipendentemente dai twist e dai percorsi narrativi, la storia può finire solamente in due modi. Anche se potreste rimanere sorpresi da quale dei due epiloghi è canonico.
Tuttavia, prendere una decisione in Life Is Strange può lasciare un segno importante su ciò che conta davvero: il giocatore.
Alla fine, è sempre del giocatore che si parla, di come riuscire a regalargli qualcosa di memorabile. Se le conseguenze di alcune scelte sembrano impattare poco lo sviluppo della trama e la sua conclusione, hanno invece interessanti risvolti nei dialoghi, nello storytelling ambientale, nei piccoli cambiamenti, quasi impercettibili, che influenzano il flow del giocatore più coinvolto dalla vicenda e che inciampa in questi dettagli senza rendersi conto della loro presenza perché dà giustamente per scontato che sia tutto frutto delle sue scelte.
Questo, che in Life Is Strange funziona in modo davvero unico, è però una prerogativa di qualsiasi videogioco: ciò che per un giocatore è davvero memorabile, non è l’esperienza generale dell’intera partita, ma determinati momenti e situazioni, scontri, incontri e sequenze animate che, anche dopo mesi, anni dall’aver completato un gioco, diventano ricordi indelebili nella mente dell’utente.
I cosiddetti “cenni” sono infatti uno dei più importanti strumenti a disposizione degli scrittori di videogiochi. I giocatori vogliono percepire che la loro scelta conta e vogliono avere prova delle conseguenze. Tuttavia, più spesso di quanto si creda, non è tanto importante che le conseguenze abbiano un impatto apocalittico, poiché per dare al giocatore modo di rendersi conto del cambiamento è sufficiente farne menzione nei dialoghi o cambiare un dettaglio del mondo di gioco. Alcuni dei nostri momenti preferiti sono solamente cenni, battute fatte da personaggi in dialoghi secondari o personaggi che hanno smesso di parlarci a causa di decisioni prese. Quando ripensiamo a certi giochi, sono questi momenti a tornarci in mente più di quelli salienti in cui tutti i giocatori sono incappati lungo la loro run.

Per spiegare l’importanza dei cenni e come Life is Strange li usi magistralmente, dobbiamo esaminare nel dettaglio la progressione dell’utente nella prima stagione.
Un gioco come Life Is Strange non sarebbe mai stato in grado di creare questo tipo di situazioni con la stessa carica emotiva se il giocatore avesse avuto più libertà di scelta sulla trama.
In Life Is Strange, il giocatore è chiamato a prendere decisioni costantemente. E costantemente gli è permesso di riavvolgere il tempo usando il potere di Max, il personaggio controllato, nella speranza di capire quale possa essere l’opzione migliore.
Questo giochino con il destino, in realtà, ci viene negato ogni volta che ci troviamo di fronte alle scelte più importanti della trama: due delle decisioni più delicate che dobbiamo prendere riguardano la vita di due personaggi. Se nel corso del secondo episodio ignoreremo la serie di campanelli d’allarme lanciati dalla povera Kate, potremmo rischiare di non essere in grado di salvarle la vita. Questo evento non ha importanti influenze sul finale, ma cambia profondamente il pensiero dei personaggi, il mondo di gioco e, potenzialmente, la nostra percezione in merito all’argomento trattato.
Il potere di Max, in Life Is Strange, non è altro che una metafora volta a invitare il giocatore a pensare prima di agire, a mordersi la lingua prima di parlare, al tentare ciò che nella vita non è possibile: ritentare, cambiare il destino. Il gioco prepara l’utente al momento in cui dovrà prendere le decisioni più difficili, che rifletteranno tutti i comportamenti moralmente scorretti o nobili tenuti dal giocatore fino a quel punto e che dovrà prendere interrogandosi più volte su cosa sia giusto e sbagliato fare.

Volendo approfondire il discorso, Life Is Strange non è altro che una metafora sulla capacità di prendersi le proprie responsabilità che tenta di spiegare quanto sia importante vivere con le proprie scelte, imparare dai propri errori e come non si abbia alcun potere su ciò che viviamo.
Non a caso, la protagonista della storia non è Max, il personaggio che controlliamo, ma Chloe, il cui destino non potremo cambiare indipendentemente da quanto ci sforziamo. O forse sì?
Delle quattro tipologie d’azione che il giocatore può compiere all’interno di un gioco (automatiche, reazioni, calcolazioni e vere scelte), prendere una decisione è quella che richiede più coinvolgimento da parte del giocatore, perché gli chiede di interrogarsi su valori e concetti indipendenti dal gioco ma imparati nella realtà di tutti i giorni. Sono il tipo di scelta più difficile da compiere e rappresentano quella più interessante nei videogiochi, oltre che a quella più difficile da mettere in scena e a cui dare un peso verosimilmente importante.
Tuttavia, un gioco come Life Is Strange non sarebbe mai stato in grado di creare questo tipo di situazioni con la stessa carica emotiva se il giocatore avesse avuto più libertà di scelta sulla trama. Si sarebbe concentrato inconsciamente su altri aspetti delle decisioni e non sarebbe stato coinvolto egualmente dai dettagli più inaspettati.
Dettagli che, al contrario, sono l’unica cosa a funzionare in Mass Effect 3, che con più di 650 diramazioni, porta a 3 diversi finali… uno più deludente dell’altro.
L’illusione crea veri e propri momenti magici in grado di emozionarci, forse più delle scelte reali.
In Spec Ops: The Line, scegliere di sterminare un intero villaggio o superarlo senza toccare il grilletto non ha alcun impatto sul finale, ma a seconda della scelta presa, la rivelazione alla fine del gioco acquisirà tutt’un altro significato.

Possiamo provare una sensazione simile giocando a The Last Of Us, in cui l’illusione di scelta è usata impeccabilmente per guidare il giocatore lungo un percorso prestabilito. Vi ricordate la prima sezione di gioco, quando Joel deve fuggire dagli infetti mentre porta in braccio sua figlia? A un certo punto, durante la fuga, poco prima della cutscene finale del prologo, ci troveremo di fronte a una breccia nel muro verso cui correremo automaticamente senza pensarci due volte. Alla nostra destra avremo degli infetti pronti a ucciderci e alle nostre spalle saremo inseguiti da altrettanti mostri. Quindi senza pensarci due volte correremo verso l’unica apertura nel muro illuminata dalla luce. Nonostante il level design sia stato concepito per dare al giocatore una certa libertà d’esplorazione, quanti hanno davvero voltato le spalle per guardare gli infetti o hanno smesso di correre in quella scena? Eppure avremmo potuto farlo! A impedircelo è stato il battito del cuore accelerato a causa dei precedenti dieci minuti di gioco, tra i più suggestivi della trama.
L’illusione è quindi meglio della verità, almeno nell’ambito dell’intrattenimento. È più emozionante. Più memorabile.
Il sorriso che abbiamo alla fine di un trucco non è causato dall’aver capito come il mago abbia fatto sparire il coniglio dal cappello, ma dalla spettacolarità del momento. Vogliamo essere ingannati senza correre pericoli, perché ci emoziona.
Grazie a questo stratagemma, Life Is Strange permette di analizzare tematiche e situazioni che in un altro modo non avrebbero lasciato lo stesso segno nel cuore dei giocatori.
La prima missione dei videogiochi, forse, è quella di intrattenerci. Ma se consideriamo quanto possano fare per aiutarci a imparare e all’impatto emotivo che certe storie possono avere su di noi, forse vale la pena indagare di più il genere delle avventure grafiche e la missione del magico storytelling interattivo.