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  • Axel Novelli

La fragilità dei castelli di sabbia

Hitman 3 porta a termine il reboot che ha rinnovato il franchise riuscendo a mantenere i suoi punti cardine pur adottando un approccio più moderno, quello dei sandbox. Le missioni della prima stagione di Hitman danno sicuramente più libertà rispetto ai titoli precedenti della saga, che seguivano uno sviluppo più lineare, ma non sono sempre necessariamente migliori delle situazioni del predecessore Hitman: Absolution, a mio avviso il migliore della serie.


Prima di entrare nello specifico, però, analizziamo i sandbox.


Nei sandbox il giocatore deve raggiungere un obiettivo rispettando le regole fissate dal gioco, ma nel farlo ha più o meno libertà nell’approccio da adottare. In questi giochi, i livelli sono ambienti esplorabili in cui tutti gli “attrezzi” utili sono disseminati e nascosti tra ostacoli da superare e scelte da compiere. La varietà di opzioni e di stili di gioco sono il punto centrale del gameplay sandbox, che si tratti di uccidere il bersaglio nel modo più creativo o silenzioso possibile in Hitman, o di selezionare in che modo assaltare un avamposto/torre nemico in… praticamente la metà dei titoli AAA usciti negli ultimi anni (da Assassin’s Creed a Skyrim).



In questi giochi, la narrazione che emerge direttamente dalle azioni svolte dal giocatore è tendenzialmente più importante della storyline fornita dal gioco e, di conseguenza, la gratificazione è data dalla possibilità di agire secondo le proprie decisioni, piuttosto che seguire un pacing più strutturato. Infatti, nei sandbox, il giocatore viene spesso gettato nella mischia senza che gli vengano insegnate le regole - e banalmente i comandi - del gioco, abbandonandolo all’esplorazione di meccaniche e possibilità.


Ma cosa succede se il giocatore è troppo pigro per scoprire ed esplorare da solo tutto quello che il gioco offre?


La risposta non è “cambia gioco, non fa per te”!



Se è vero che nello sviluppo è importante tenere a mente il target a cui il gioco è rivolto (in termini di gameplay prima di tutto), è anche importante cercare di rendere l'esperienza più accessibile e divertente possibile.


Nei sandbox, l’iniziativa del giocatore è più importante che in qualsiasi altro gioco. Persino dei GDR (che poi sono grandi sandbox), in cui siamo spesso chiamati a creare e caratterizzare il nostro personaggio da un punto di vista narrativo, prima che meccanico. Nel caso di Hitman, dove la narrazione è solo di sottofondo, l’immedesimazione avviene totalmente attraverso il gameplay: al giocatore viene infatti chiesto di analizzare, pianificare, eseguire, imparare e portare a termine la missione.



Se però è vero che una grande libertà lascia al giocatore infinite possibilità, ci sono casi in cui troppa varietà fornita simultaneamente può essere un muro per chi si avvicina al titolo. L’iniziativa del giocatore è infatti un’arma a doppio taglio per l’engagement e dev’essere incoraggiata attraverso sistemi ben strutturati, non usata per sopperire a mancanze di design. Il tutto sta nel saper bilanciare la libertà del giocatore con un sistema di pacing intuitivo, costantemente vario e mai troppo punitivo, strutturato per premiare il giocatore a prescindere dallo stile di gioco adottato (sempre che sia in linea con le regole e l’esperienza di gioco).


Oppure attraverso un sistema che non premi affatto il giocatore. Dico davvero. Giocare non è già abbastanza divertente senza dover raggiungere obiettivi pre-impostati?


Se decidiamo di premiare il giocatore attraverso un determinato comportamento, stiamo incoraggiando quel comportamento. I giocatori tenderanno sempre ad adottare l’opzione più semplice a parità di risultato (come nella vita, in tutte le cose), a meno che le ricompense di una scelta difficile siano più interessanti e tangibili e che non intacchino l’esperienza generale.


I giochi sono uno strumento d’apprendimento potentissimo, ma il nostro cervello è programmato per evitare la fatica. Per questo siamo riluttanti ad apprendere se forzati e, per la stessa ragione, tendiamo a evitare soluzioni laboriose a favore di stili di gioco più semplici.


Pensate all’ansia che ci assale quando dobbiamo scegliere gli attributi S.P.E.C.I.A.L. e finiamo per seguire un tutorial…



...tutorial che però nasconde ore di gioco passate a seguire delle azioni forzate dalla nostra build, magari non adatta a noi, che se avessimo impostato personalmente avrebbe aperto ad altre possibilità, più su misura per il nostro stile di gioco.


Un bilanciamento mal calibrato di pacing e iniziativa possono essere letali per l’engagement. Al contrario, se le due cose vanno a braccetto, l’esperienza sarà graduale e con essa la curva d’apprendimento del giocatore.


È il caso di The Witcher 3, in cui non solo il comparto narrativo permette al giocatore di immedesimarsi facilmente in un personaggio ben caratterizzato di cui è possibile limare i tratti, ma è parallelamente supportato da un gameplay che lascia largo spazio all’esplorazione. Abbandonando il tracciato delle missioni può capitare di imbattersi in eventi importanti senza saperlo ed essere premiati proprio per questo. Per esempio, un’intera serie di quest principali del gioco può portare a soluzioni inaspettate se invece di recarci dal personaggio di riferimento siamo incappati in luoghi in cui si sarebbe dovuta svolgere la trama. In questo modo, potremmo decretare il destino di una famiglia reale liberandola dalla maledizione o aprire a scenari più disperati. In questo caso, la ricompensa non è materialmente spendibile, ma legata all’importante svolgimento della storia.


In Fallout 3, l’esplorazione del giocatore è incentivata da un binario sistema di opportunità e ricompense: da un lato, potremo scegliere di ottenere un armamentario sempre più micidiale, che quasi sempre coinciderà con il fare piazza pulita e prendere decisioni di dubbia moralità. Dall’altro, seguire la storia, permetterà di imparare di più sul mondo di gioco e prendere decisioni più ponderate con conseguenze a lungo termine su equipaggiamento e abilità. Se si volesse seguire la propria storia e inciampare in personaggi e aree senza aver attivato la relativa quest, in molti casi ci si troverà di fronte a casi unici di emergent storytelling che, tendenzialmente, sono gli aneddoti che vengono condivisi più frequentemente tra giocatori, piuttosto che i tratti salienti della trama.


Nella prima stagione di Hitman, le opportunità di completamento vengono solamente suggerite attraverso un sistema di sfide che tenta di incoraggiare il giocatore ad esplorare percorsi e possibilità. Se però esistono diverse e uniche possibilità di completamento per ogni livello, la maggior parte sono ripetitive. Inoltre, non tutte le sfide hanno una ricompensa, ma il completamento generalizzato di queste porterà ad acquisire esperienza indistintamente dalla sfida completata. Esperienza che, spesso, sblocca strumenti, travestimenti, scelte tattiche e armi inutili allo stile di gioco perché utilizzabili esclusivamente nel livello di riferimento o perché correlate a uno stile di gioco non supportato dal design (come le sparatorie).


Potremmo dire che la vera ricompensa è attirare un mafioso sul tetto di una chiesa e spingerlo dal campanile vestiti da prete, o eseguire determinate azioni affinché il bersaglio decida di usare un cannocchiale e sparare nelle lenti con il fucile da cecchino, ma se queste azioni, a differenza delle più semplici, non sono supportate da una ricompensa, poco spingerà la maggior parte dei giocatori a portarla a termine per pura sfida personale.



In giochi come questi o Metal Gear Solid, il rischio più grande è quello di ritrovarsi a seguire delle soluzioni per portare a termine determinati obiettivi.


Ed ecco che l’engagement del giocatore muore nel passaggio tra lo schermo del cellulare a quello del televisore.


Un sandbox, quindi, funziona se la ricompensa è intrinseca della pura azione di giocare. A questo proposito, non si dovrebbero implementare meccaniche che poi non vengono supportate.


La totale libertà d’esplorazione del sistema fornito, supportata da un pacing preciso e concentrato sull’introduzione delle meccaniche e dal giusto setting, permette al giocatore di non perdere mai di vista il focus dell’esperienza mentre scopre da solo le soluzioni più interessanti. Come in Dishonored, dove lo stile di gioco impatta la storia e costringe il giocatore ad esplorare tutte le possibilità ad esso associate mentre il sistema evolve a causa delle sue azioni. O, sempre in Dishonored, dove riuscire a infiltrarsi in una festa per eliminare la padrona di casa diventa una sfida narrativa che, grazie alla sua accessibilità, difficilmente spingerà i giocatori a cercare soluzioni.


Al contrario, un sandbox non riesce nell’intento se il sistema di ricompense non è flessibile alle scelte del giocatore, costante e indipendente dalle forzature del sistema costruito nel livello. Se Hitman avesse offerto meno sfide, ma tutte egualmente interessanti, rivelando al giocatore tutte le possibilità progressivamente e senza presentarle più volte, sarebbero state tutte più appetibili e non avrebbero avuto bisogno di un sistema di sfide poco gratificante.




I giochi sistemici dovrebbero essere abbastanza interessanti senza che si debba implementare contenuti extra che spezzano l’esperienza. Come trofei, obiettivi, sfide e condizioni che possono forzare il giocatore (non incoraggiarlo) ad adottare comportamenti diversi e pensiero laterale, non perché scoperti autonomamente ma perché suggeriti in modo esplicito. Il design dovrebbe incoraggiare comportamenti coerenti all’esperienza di gioco, concentrandosi sull’essenziale senza riempire il gioco di mediocrità.


In questo modo, il giocatore che scopre che può suonare la batteria in una missione di Hitman per aprire a una diversa possibilità di completamento, vedrà nella cosa un easter egg che ricorderà per sempre e che nessuno gli avrà mai suggerito.


Avete paura che il giocatore possa perderselo? Beh, ditelo a tutti quelli che stanno ancora indagando i segreti di Red Dead Redemption 2 e che sono tornati a giocare solo per viverli in prima persona dopo averli visti scorrere sulle compilation di Youtube.


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